Con il naso per terra

Il motociclista guarda lontano. Lo sguardo lungo gli serve a pennellare la strada ed evitare le buche più dure, come cantava Lucio Battisti che di motociclette se ne intendeva. Quanto più viaggia veloce, tanto più deve tenere lo sguardo alto per evitare brutte sorprese e osservare almeno un po’ quanto lo circonda, prima che scivoli alle sue spalle. Difficilmente noterà ciò che gli scorre accanto; sì, potrà trasalire per un refolo di profumo o di fetore, ma avrà appena il tempo di sorprendersi che la traccia si sarà già dissolta nell’aria che si appressa.
Il motociclista fa delle soste e visita i luoghi di interesse turistico, ma devono avere una certa mole e importanza. Poiché ama molto stare in sella e danzare fra le curve, non si fermerà volentieri se non ha programmato di farlo o se qualcosa non è abbastanza grande da attrarre la sua attenzione quando è ancora lontano.
Non è probabile dunque che un prato possa essere motivo per fermarsi, spegnere la motocicletta e abbassare lo sguardo a terra, a meno che il nostro amico non voglia fare uno spuntino o stare un po’ in intimità con la compagna e si guardi intorno per evitare cardi, zacchere e cacche bovine. Eppure, il prato – specialmente quello di montagna – meriterebbe più considerazione. Passeggiarvi è un’esperienza totale che coinvolge sensi, intelletto e cuore.
Non serve allontanarsi molto dalla strada per scoprire con il naso per terra un mondo vegetale, ricco di aromi, promesse di salute e racconti mirabolanti. Timo serpillo, tarassaco, salvia dei prati, pimpinella, trifoglio. Del trifoglio, un tempo i bambini staccavano i capolini per succhiare il nettare che ricorda il miele. Oggi il nostro palato è reso ottuso da gusti forti, grossolani, semplificati, ma perché non provare a recuperare aromi dimenticati, tenui ed eleganti?
Incontreremo folti di ortica, forse non da accarezzare, ma almeno da guardare con simpatia: pianta diuretica, antireumatica, antianemica, ottima in cucina per preparare, minestre, contorni, e ripieni.
Calpesteremo erbe che hanno fatto la storia dell’alimentazione umana, come il Galium Verum che un tempo si usava per cagliare il latte. I suoi germogli possono essere mangiati crudi da soli o misti ad insalate primaverili. Si dice anche che la pianta tenga lontane le pulci e, una volta essiccata, in passato era usata per riempire i materassi.
L’Agrimonia eupatoria, fusto eretto e cilindrico alto circa 50 centimetri con fiori a grappolo di colore giallo-intenso, ha anch’essa una storia antichissima: in siti risalenti al Neolitico sono state ritrovate grandi quantità di frutti. Mitriade Eupatore, re del Ponto, nel I secolo a.C. ne introdusse l’uso in fitoterapia e la utilizzava per le applicazioni più svariate: morsi dei serpenti, problemi di vista, perdita di memoria. È sempre stata un’erba usata per medicare le ferite: era infatti un ingrediente “dell’eau d’arquebusade”, una lozione francese che veniva applicata sulle ferite d’archibugio. Nell’Europa del nord, l’infuso, di sapore gradevole, è usato come un comune tè stimolante.
Incrociando una siepe, ecco altre erbe varie e interessanti. La vitalba, i cui germogli sono ottimi in frittata e nei risotti. Il bruscandolo, quanto di meglio possiamo usare in cucina a primavera. La rosa canina: con i petali del fiore, dall’aria gentile, un tempo le mamme preparavano il miele rosato che veniva dato ai bambini per combattere il mal di gola. L’Achillea, di cui Plinio racconta che Achille usò le foglie per curare le ferite dei suoi compagni d’arme, durante l’assedio di Troia.
Vicino al muro di un baito, incontreremo la Parietaria Officinalis e la lattuga selvatica, Mycelis Muraris, le cui foglie sono commestibili e molto appetitose; Dioscoride e Oribasio di Pergamo la giudicavano “fredda come l’acqua delle sorgenti”. Un millennio più tardi, Castore Durante da Gualdo ne decantò le virtù poiché “grata allo stomaco”, sedativa e “mitiga i dolori”. Il farinello buon-enrico non ha un aspetto invitante, ma in compenso ha molte virtù: è buon ricostituente, antianemico, lassativo e depurativo e ha mitigato i morsi della fame di molte generazioni. Il nome, propiziatorio e goloso, è probabilmente un omaggio di Linneo a Enrico IV di Navarra che i francesi chiamavano “le Bon Henry”. Ottime le foglie giovani crude in insalata, con olio, pepe, succo di limone e l’aggiunta di gherigli di noci, e i getti fiorali a mo’ di asparagi.
Nel prato, però, assieme a specie amiche dell’uomo, convivono anche specie nocive e addirittura mortali ed è utile farsi accompagnare, almeno qualche volta, in visite guidate che ci aprano i sensi e ci mettano sull’avviso delle insidie che la natura presenta.
In molte località turistiche, le associazioni e le amministrazioni locali organizzano escursioni di questo tipo, veramente utili e divertenti.
Io ho avuto il piacere di partecipare a una di esse, guidata da Antonio Cantele da sua figlia Lisa, a Lusiana sull’altopiano di Asiago.
Antonio è erborista e ha il passo rapido e i gesti lenti dell’uomo di montagna. Di profonda cultura botanica e sapienziale, ti porge il suo sapere con squisita semplicità. Nel suo orto, ha messo a dimora rose antiche e varietà rare di mele e pere. È anche fine gastronomo e, alla fine delle sue passeggiate, propone menù ricchi di profumi e colori nei quali utilizza le erbe che lui stesso raccoglie.
Io ho potuto apprezzare: una misticanza di erbe e fiori di campo con crostino all’aglio orsino, risotto con ciliegie e punte d’ortica, gnocchi di farinello buon-enrico con burro e salvia e ricotta affumicata, tagliata di manzo al timo con kraut di primavera (stufato di erbe di campo) e patate farcite ai funghi porcini, bavarese al sedano montano, tisana digestiva di erba luigia, calendula, serpillo, menta piperita e stevia.
Per informazioni sugli eventi proposti da Antonio e Lisa, tel: 0424-463346, e-mail: lisacantele.slowfood8@yahoo.it.

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5 pensieri riguardo “Con il naso per terra

  1. Molto interessante. Quel risotto é intrigante al punto giusto, ed il Sig. Antonio pure!
    Grazie per aver condiviso questa esperienza così particolare.

  2. Hai fatto una bella e fedele fotografia del motociclista classico rispetto al quale piú passano gli anni meno mi ci rispecchio.
    Molto bello ed interessante il tuo scritto.

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