Nella Bucovina fra boschi e monasteri
The journal of a short range traveler
Siamo a metà strada fra il grande monastero di Moldovița e quello ancora più imponente di Sucevița. Qui attorno, piuttosto vicini l’uno all’altro, ce ne sono altri quattro, costruiti e ricostruiti fra il XIV e il XVI secolo. Un investimento importante anche al netto di una manodopera a basso costo. Per i successori di Bogdan era importante presidiare il territorio non solo in armi, ma anche attraverso un forte appello all’identità ortodossa in nome della quale combattere e resistere.
L’affresco mostra una lunga fila di monaci salire la ripida scala che porta a Cristo e alla santità. Sulla destra, una schiera di angeli osserva l’ascesa, pronti a posare una corona d’oro sulla testa di coloro che giungono alla salvezza, se arriveranno in cima. Sulla sinistra, diavoli attirano nell’abisso quelli che non resistono: alcuni dei peccatori si avvinghiano al legno per non cadere, ma sembra una battaglia vana; altri, stanno già precipitando nel vuoto, abbracciati in una danza macabra ai demoni. Un angelo, accanto al Signore, infierisce con un lungo tridente su un monaco, in procinto di cadere dall’ultimo gradino. È una scena potente e disperata. Non c’è spazio per la pietà: o santo o dannato. Lo indicano chiaramente le espressioni dei personaggi: indifferenti quelle degli angeli, timorose e assorte nel compito quelle dei monaci in ascesa, atterrite quelle dei dannati. I diavoli non hanno espressione. Cristo stringe la mano al monaco che si è guadagnato la salvezza, ma non c’è simpatia nel suo sguardo, semmai un senso imparziale di giustizia.

È notte fonda ormai, eppure non riesco a prendere sonno. Mi giro e mi rigiro, davanti agli occhi il ricordo di quanto visto oggi.
Affascinante l’affresco “politico” sul muro della chiesa di Moldovița che illustra l’assedio di Costantinopoli da parte dei Persiani Sasanidi nel 626, sconfitti grazie all’intervento miracoloso della Vergine Maria e vestiti con i costumi degli ottomani ai quali la Bucovina versava tributi nel XV secolo. Insomma, una specie di manifesto insurrezionale.
Tutto bello, ma non basta a giustificare l’irrequietezza notturna. L’immagine che torna più di ogni altra a disturbarmi il sonno è il Giudizio Universale sulla parete esterna occidentale della chiesa dedicata a San Giorgio nel monastero di Voroneț.
Composta in cinque fasce orizzontali, la pittura è divisa, come da una diagonale, dal fiume di fuoco dell’Inferno.
Alle spalle del trono e proveniente dal Padre, sgorga il fiume di fuoco che separa il mondo dei giusti da quello dei peccatori. Questi ultimi sono dipinti alle spalle di Mosè, il quale, anche se si trova al di là del fiume di fuoco, è santo e tiene nella mano le Tavole della Legge. Egli invita ebrei, turchi, tartari ed armeni a volgere lo sguardo a Cristo per una, anche se tardiva, conoscenza. Mentre i volti dei giusti sono sereni e tranquilli, quelli dei peccatori sono contorti ed impauriti, coscienti della pena che li spetta.
Alla base dell’icona è raffigurata la morte del giusto: è vestito di bianco e il suo viso è tranquillo. Dalla bocca gli esce fuori l’anima, un omino bianco, che il suo angelo custode accoglie con un ramo di fico per portarlo in Paradiso. Alla porta l’Apostolo Pietro con le chiavi e l’Angelo di fuoco con la spada. A sinistra è raffigurata la morte del peccatore: i suoi l’hanno vestito con la camicia bianca, la stessa del giusto, ma il suo angelo gli trafigge il cuore e un diavolo gli trafigge il ventre perché è stato schiavo dei piaceri del corpo.
Nel dormiveglia, fra le immagini dell’affresco di Voroneț, si intrufola San Zeno, il patrono di Verona. Porta una maschera d’argento e mi fissa, gli occhi negli occhi, sebbene le sue siano orbite vuote. Mi fissa e mi terrorizza come quella sera lontana quando, io bambino, mi passò accanto portato in processione. Erano gli anni dopo la Prima Comunione, quando la morale era una partita doppia di peccati veniali e mortali, di fioretti e indulgenze. La vita oscillava fra la spensieratezza e il soprassalto dell’esame di coscienza che non era mai del tutto a posto. La sera, alle preghiere presidiate da mia madre, mi impensieriva l’Atto di Speranza con la sua formula finale apocalittica: “Signore, che io non resti confuso in eterno”.
Ancora una volta leggerti mi ha riportato a ricordi e soprattutto emozioni, sopiti, ma subito riesplosi.
Bellissime le immagini, interessantissimi i cenni storici e naturalmente coinvolgente il tuo narrare, sempre capace di evocare immagini e ricostruire frammenti di una cultura e di un approccio infantile alla religione tipico della nostra fanciullezza.
Sucevita, Moldovita, Voronet sono forse i più belli tra i monasteri della Bucovina.
Un particolare senso di smarrimento mi prese alla vista del giudizio universale di Voronet, come se mi fossi trovato davanti ad un’immagine coinvolgente e prorompente, oserei dire iconograficamente “violenta”, ma al contempo a me già familiare, già presente in qualche recondito del mio cervello. La cosa mi turbò molto, non riuscendo a dare una spiegazione a tutto ciò. Solo l’anno dopo, tornando a visitare dopo vent’anni la Cappella degli Scrovegni, ho capito: la composizione del giudizio, soprattutto nella parte destra in basso, e la cromia generale con quel blu imperante mi avevano fatto inconsciamente associare il giudizio universale di Giotto a quello di Voronet.
Grazie ancora Giulio, leggerti è spesso come viaggiare, nello spazio e spesso anche nel tempo.
Che dire, non si potrebbe aver iniziato meglio l’anno: quante suggestioni, e che ricchezza in Romania.
Ancora una volta, grazie per la tua buona volontà.