Monfalcone

_MG_4266Dall’autostrada sull’altro versante delle Mucille giunge sommesso il fruscio del traffico domenicale. Si distingue appena dal fischio che il vento freddo dell’est intona tra i rami secchi. Un mountain biker, vestito di colori accesi, mi sfreccia vicino nella sua corsa lungo i sentieri delle alture di Monfalcone. Breve rotolare di sassi, ansito pesante e poi solo il vento e il borbottio lontano delle automobili. Silenzio, se vogliamo. Quello che da fine maggio del 1915 a ottobre del ’17 fu interrotto senza tregua dagli ululati e dagli scoppi dei proietti di artiglieria, dal crepitare delle mitragliatrici, dalle urla, dalle invettive e dai lamenti dei soldati che si combattevano. Vicini, vicinissimi o lontani, ovattati, verso il San Michele o l’Hermada.
_MG_4240Sopra l’autostrada, il fianco del Monte Cosich e del Debeli Vrh è brullo, sassoso e i resti delle opere di guerra si confondono con le grize disseminate qua e là fra gli sterpi e i prati stenti. Quello che scende dalla Rocca di Monfalcone, è folto di vegetazione e, in molti punti, impraticabile. Boschetti e arbusti nascondono il labirinto di trincee scavate dagli austriaci e dagli italiani. Di gran parte di esse resta una piega nel terreno, appena una ruga, mentre altre sono state recuperate e sembrano pronte ad affollarsi ancora di uomini ritti davanti alle feritoie e con la testa incassata fra le spalle a ridurre il bersaglio. Ridotta di quota 121, trincea della Selletta, trincea Joffre, trincea Cuzzi. Sono fossi profondi, affogati nel verde, in cui un uomo può rannicchiarsi a pregare che la bomba non cada proprio lì dove sta lui, scavati nella roccia e rinforzati di cemento armato; muniti di rialzi dai quali sparare all’ombra che avanza. Sono smozzicate dal tempo, ma ordinate e pulite.
_MG_4270_MG_4283_MG_4286Occorre lo sforzo dell’immaginazione per vederle così come erano cento anni fa: scarificazioni del terreno ridotto a deserto petroso. Un disordine caotico, ogni giorno “più orrido, più raccapricciante. Ecco un groviglio di reticolati, infranti. Ecco un morto, ed eccone un altro, e un altro e un altro ancora. Un piede in una scarpa orribile, sanguinoso. Ecco un berretto, e un fucile, e caricatori, cartucce, pinze taglia-fili, ferro spinato in rotoli, tavolini, cavalli di frisia, una benda tutta intrisa di fango, pacchetti di cartucce, una sciabola baionetta, un brandello di tela, un telo da tenda, una buca di granata.”
Torno sui miei passi e mi siedo a guardar giù Monfalcone e lo specchio di mare sullo sfondo, le grandi gru del cantiere navale e la ciminiera.
“Già il 27 maggio 1915 l’ordine era di svolgere un’azione dimostrativa contro Monfalcone, ma fu all’alba del 9 giugno che la brigata Granatieri arrivò su quota 61, dietro l’ospedale San Polo”.
“Contemporaneamente la brigata Messina entrò in Monfalcone, puntando sulla Rocca dove le due brigate alle ore 08.00 si congiunsero.”
Piazza della Repubblica è qui sotto, la vedo, e i fanti saranno saliti da quella rampa lì col fiato in gola: settanta, ottanta metri di dislivello con venti chili addosso, pregando o bestemmiando – o alternando una preghiera e una bestemmia – sebbene gli austriaci si fossero già arroccati un po’ più lontano, su quota 121, quota 85, sul Sablici che gli italiani ridurranno al silenzio solo nel ’17.
I Granatieri di Sardegna dovevano fare i conti anche con il tiro corto dell’artiglieria italiana. C’era mica la radio allora per comunicare e le staffetta ci mettevano il tempo che ci voleva a portare avanti e indietro i messaggi. Sembra che un centinaio di granatieri caddero colpiti dai cannoni “amici” prima che tutto fosse finito.
Dal 9 giugno fino al 13 agosto 1916 fu tutto un avanti e indietro fra italiani e austriaci sulle gobbe a est della Rocca. Quattrocentoventinove giorni a rubarsi qualche metro di terreno e poi essere ricacciati indietro a costo di morti e feriti da entrambe le parti. Perlopiù erano i “piemontesi” a cercare di avanzare ed essere respinti, ma ogni tanto ci si provavano anche gli altri.
“Il 16 maggio 1916 il VI° reggimento e il 152° battaglione Landstürm diedero l’assalto al versante nord della Rocca facendo 160 prigionieri italiani. Fu anche occupata una parte della trincea italiana detta “del Tamburo” poco a ovest della quota 121. I reparti austriaci diedero fondo a tutte le loro risorse fisiche, ma decimati dalla perdita di circa 1300 uomini, rinunciarono all’obbiettivo principale di fare avanzare la linea di difesa.”
Milletrecento uomini. Milletrecento famiglie. Mettici un segno sopra e avanti.
Sono tante le cose da vedere qui sulle alture dietro Monfalcone, ma lo sguardo si volta sempre indietro. Al Cosich e al Debeli. Forse dovrei tornare in una notte di luna piena per scorgere le ombre dei soldati che andavano a farsi mietere dalle mitragliatrici austriache posizionate in alto.
Tutto comincia il 19 giugno 1915 con un ordine di servizio dattiloscritto del Comando della XIIIa divisione di fanteria, N° 522 di protocollo. Oggetto: Ricognizione verso M. Cosich-Debelivrh-q.144 e sulla valle che separa quelle alture da quelle di Monfalcone.
“Al Comando di Brigata Granatieri di Sardegna (omissis), interessa conoscere le condizioni nelle quali si trova il fondo della valle fra le alture di Monfalcone (omissis) e le alture di M. Cosich – Debelivrh – q. 144 e conoscere la praticabilità del pendio delle alture di Monfalcone verso quella valle e delle pendici opposte di M. Cosich, ecc. (omissis) Faccio notare che le gravi difficoltà che ci possono essere a scendere dalle alture di Monfalcone nella valle a nord di essa e a risalire le opposte pendici formidabilmente preparate dal nemico sono attenuate dalle brevi distanze da percorrere; dalla possibilità di sostenere anche con fuoco di fucileria dalle alture di Monfalcone la traversata della valle; ed alla esistenza di un forte angolo morto a piedi delle alture di M. Cosich e Debeli vrh. (omissis)”.
Il 23 e 24 giugno, la «Messina» non riusciva a portarsi oltre il vallone che separa la Rocca di Monfalcone dal M. Cosich.
“Si arrivava così alla ripresa offensiva disposta dalla 3a Armata per il 30. Nella pur ardita preparazione per l’attacco al Cosich e al Debeli, l’impiego dì tubi esplosivi lasciava pressoché intatti i reticolati; ciò nonostante le brigate Messina e Granatieri di Sardegna sferravano ripetuti ma altrettanto inutili assalti, a prezzo di gravi sacrifici.”
Erano sempre i rincalzi a venire abbattuti in maggior numero. Andavano all’assalto di «trotterello, di coraggio buono e di rassegnazione», in piedi o al più curvi, mentre i veterani avanzavano strisciando “come le serpi a terra più che si può per arrivare sotto la trincea nemica” e poi partivano di corsa, possibilmente fra i primi prima che le mitragliatrici nemiche avessero il tempo di inquadrare il campo di battaglia.
“Sotto la disciplina del dovere, si fremeva in silensio eseguendo l’ordine”, ma ogni tanto qualcosa si rompeva nel cuore degli uomini, vero?!
“Nella notte tra il 29 ed il 30 giugno, un battaglione del 93° era rimasto isolato nella terra di nessuno e su questo si stava concentrando il fuoco austriaco; durante la fase di ripiegamento alle linee di partenza, un reparto del battaglione fu visto abbandonare le armi e, con gli ufficiali in testa, dirigersi verso il nemico sventolando fazzoletti bianchi. Su ordine del comandante della Brigata Messina, generale Carignani, sul reparto di disertori fu diretto il fuoco delle mitragliatrici italiane che causarono un numero imprecisato di vittime.”
“Fra il 18 ottobre e il 4 novembre 1915, tutti i tentativi d’avvicinamento al Cosich e al Debeli, dopo alcuni progressi iniziali, fallivano per effetto dei contrattacchi sferrati; al termine, la sola 16a divisione accusava la perdita di oltre 4.000 uomini, di cui ben 2.757 appartenenti alla brigata Cremona.”
E avanti così finché la notte sul 13 agosto 1916, gli austriaci effettuarono un arretramento della loro linea e così le truppe del VII corpo potevano occupare il Debeli Vrh e le q. 121 e 85.

Sono seduto al Caffè Carducci, due passi da piazza della Repubblica. Sul tavolo, un calice di Sauvignon. Mi piace questo vino dal colore giallo paglierino dai riflessi verdi, il profumo elegante, intenso, penetrante in cui ritrovi un sentore di pipì di gatto, ma anche note di frutto della passione, menta, ananas, pesca bianca, foglie di pomodoro fresco e salvia. Sto ripercorrendo sulla tavoletta IGM, scala 1:25.000, l’itinerario della passeggiata nel Parco Tematico della Grande Guerra (*). Avverto uno sguardo dietro di me e mi volto. È un signore sulla quarantina.
«È già stato a vedere o si sta preparando?»
«Sono già stato. Lei è di Monfalcone?»
«Si.»
«Anche i suoi nonni, i bisnonni?»
«Tutti da parte di mio padre. Da parte di mia madre, invece suo nonno veniva da Venezia. Perché?»
«Cosa si raccontava in casa della guerra combattuta qua dietro? E dello sfollamento? Monfalcone è stata bombardata prima dagli italiani e dopo dagli austriaci», dico.
«Guardi. Non se n’è mai parlato tanto qua a Monfalcone. Sono quelli che vengono da fuori che vanno a vedere. Noi si stava bene sotto l’Austria. Potevi parlare ‘taliano. Lo Stato era giusto. In giro, ci sono ancora osterie che espongono la fotografia di Francesco Giuseppe. Non solo a Monfalcone; un po’ dappertutto. Non è politica; è solo il ricordo delle famiglie. Po’ i nostri veci sono andati in guerra con gli austriaci, non con gli italiani. Cosa vuole? Non è stata una guerra nostra.»
Annuisco con la testa, lo saluto con un sorriso e riprendo a guardare le mie carte.
Quando esco dal Caffè, guardo in alto la Rocca. La ferrovia Trieste-Gorizia la separa dalla città e adesso mi sembra un po’ più lontana.

* http://opuscolitrieste.blogspot.it/2014/06/opuscolo-parco-tematico-della-grande.html

8 pensieri riguardo “Monfalcone

  1. Bravo Giulio, ormai i complimenti e i superlativi sono inadeguati. Resta un grazie di cuore per la voglia di condividere le tue esperienze.

    Beh, anche un’anguilla alla brace però, ti spingessi un po’ più a sud.. 🙂

  2. Ciao Giulio, bellissima testimonianza. Sto svolgendo una ricerca su un caduto mio compaesano, granatiere, che morì proprio a quota 61 nord est San Polo (Monfalcone). Per caso hai una fotografia di questa quota? Grazie mille in anticipo
    Un salutone

  3. Buongiorno Giulio, bellissimo post.
    Sto cercando informazioni su quota 61 nord est San Polo, in quanto il 9 giugno 1915 cadde un mio compaesano, giovane granatiere del 1° reggimento. Sto cercando una foto della quota 61… per caso tu ne hai?
    Grazie infinite.

Rispondi a Leopoldo Bozzi Cancella risposta

Inserisci i tuoi dati qui sotto o clicca su un'icona per effettuare l'accesso:

Logo di WordPress.com

Stai commentando usando il tuo account WordPress.com. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto di Facebook

Stai commentando usando il tuo account Facebook. Chiudi sessione /  Modifica )

Connessione a %s...

%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: