Sul Monte Grappa

Eccoci di nuovo sulla strada. Ci accompagna Franco, l’amico di tante avventure, con il quale non uscivamo da un paio di mesi. La meta di oggi è il Monte Grappa. Ho attraversato il massiccio un’unica volta senza arrivare al Sacrario e voglio andare proprio lì.
Mi spinge una sorta di ossessione a visitare i luoghi fondamentali della Grande Guerra e il Monte Grappa è uno di quelli più importanti. Infatti, dopo la disfatta di Caporetto, sul Grappa gli italiani arrestano l’offensiva austriaca che rischia di dilagare nella pianura Padana, contendendo il terreno altura per altura al nemico che avanza, fino ad arrestarlo. In un’occasione, gli Austriaci arrivano a pochi chilometri da Romano d’Ezzelino, ma – niente! – alpini e fanti li ricacciano indietro.
Dicevo che, poco alla volta, la Grande Guerra ha cominciato ad ossessionarmi. Credo siano stati i numeri a colpirmi per primi: diciassette milioni di morti, almeno venti milioni di feriti e oltre settanta milioni di esseri umani che videro azzerate le loro sicurezze e vissero di stenti e di paura nei quattro lunghi anni che corrono fra il 28 Luglio 1914 e l’11 Novembre 1918. Dietro i numeri ci sono le storie degli individui: storie di vite spezzate, storie di paura e di coraggio, di ardimento e di vigliaccheria, di amicizia e di tradimento, storie belle e storie che assomigliano a incubi. Quanto ristagna e si riverbera nel tempo tutta la sofferenza accumulata in quei numeri e in quelle storie? Cosa rimane oggi di essa nei luoghi in cui fu consumata, a distanza di tanto tempo dagli avvenimenti? Ho deciso di cercare qualche risposta e per questo giro insistentemente quei luoghi.
Percorsa la strada Cadorna che sale da Romano d’Ezzelino, giungiamo al Sacrario sul crinale di quota 1776.
Il Sacrario è costituito da cinque muraglioni semicircolari, sovrapposti e di dimensioni sempre minori che ospitano le tombe di dodicimilaseicentoquindici caduti italiani, duemiladuecentottantatre dei quali in tombe individuali. Ciascun loculo è largo quarantotto centimetri e alto trentadue, coperto da una lastra in bronzo che riporta grado, nome e cognome del soldato caduto. Su ciascuno dei cinque piani, le tombe sono disposte in quattro file e intervallate da loculi comuni – novantadue in tutto – in ognuno dei quali sono sepolti i resti di cento caduti senza nome.
C’è anche un settore austriaco del Sacrario, che raccoglie i corpi di diecimiladuecentonovantacinque soldati austro-ungarici, diecimila dei quali in due grandi tombe comuni.
Lì incontriamo un gruppo di Bassano. Saranno una ventina, uomini e donne, qualche bambino. Hanno appena deposto una corona di alloro ai piedi dell’altare e si raccolgono in preghiera, il capo chino. L’Eterno riposo dona a loro Signore, risplenda ad essi la luce perpetua e riposino in pace. Uno di loro, occhiali neri e capelli lunghi raccolti in un codino, mi dice che ripeteranno la piccola cerimonia qualche minuto dopo al Santuario della Madonnina, nel settore italiano.
Sempre nel settore austriaco, il secondo incontro della giornata è con la tomba del soldato Peter Pan, 30° Reggimento Fanteria Honved, 7° Compagnia, caduto in combattimento sul Col Caprile il 19 settembre 1918. Peter Pan, come il bambino che non vuole diventare adulto e che combatte contro Capitan Uncino. Curiosamente, i due Peter nascono nello stesso anno, il 1897, l’uno nel Regno di Ungheria e l’altro dalla penna dello scrittore James Matthew Barrie.
Non ha fatto nulla di particolarmente eroico questo soldato; é un semplice e insignificante soldato dell’esercito imperiale, uno sconosciuto che doveva essere un numero, ma che, per il nome che portava, è quasi un eroe.
La sua tomba, unica fra tutte, è sempre ornata da piccole pietre, conchiglie, lumini votivi e fiori di campo. C’è persino un tozzo di pane e non credo sia lì per scherno. Penso piuttosto a un viatico teso a rendere più lieve il viaggio nell’aldilà; forse, un gesto di simpatia.
A cosa è dovuto il successo del soldato Peter Pan? Non lo so, ma se ripenso ai visitatori che osservo intorno a me, al loro vagare spaesati nel grande camposanto e all’improvviso cambio di passo per andare a salutare Peter Pan, al tono di voce con cui parlano tra loro di lui, forse ho una risposta.
Il soldato Peter Pan ci consente di volare via con l’altro Peter da questo luogo angosciante nell’Isola che non c’è, dove la guerra è affare di bambini e non fa veramente male a nessuno. Sulla sua tomba, possiamo piangere il giovane soldato morto e consolarci con l’immortalità giocosa dell’eterno bambino che non vuole crescere.

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4 pensieri riguardo “Sul Monte Grappa

  1. Ciao il Monte Grappa e’ stato un calvario per Italiani e Austroungarici.Ogni macchia di alberi
    nasconde un labirinto di trincee e caverne dove erano costretti a vivere d’estate ma sopratutto
    d’inverno.Complimenti per i viaggi e in bocca al lupo per i prossimi.

    1. Ti ringrazio dell’apprezzamento e ricambio l’augurio.
      Rispetto al Monte Grappa, hai qualche notizia particolare, qualche aneddoto, nonni o bisnonni che vi hanno combattuto?

  2. Caro Giulio,la stessa ”ossessione” mi spinge da tanti anni a cercare e capire,condivido in pieno
    la tua passione per la Grande guerra,fin da giovane,Sul Grappa ci sono stato parecchie volte.
    Parecchi anni fa ho percorso(allora si poteva) la Strada degli Eroi,zona Pasubio passo di Xomo ecc.Mi Rammarico di non essere riucito a salire su Passo Buole causa caduta,ma chissà,mi
    complimento di cuore per le tuoi racconti a volte veramente toccanti e le belle foto.Un cordiale
    saluto da un vecchio motociclista.Chissà che non ci si trovi qualche volta!

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