Taccuino di Borgogna /1

EN240137 Occorre valicare le Alpi per cogliere fino in fondo la scommessa che il vignaiolo ingaggia ogni anno con il Padreterno. In Borgogna, ma anche in Alsazia e nella Champagne, non ci sono solo la grandine, l’umidità e l’estate fredda con cui fare i conti; c’è anche la gelata primaverile che in una notte brucia i fiori sul tralcio e le speranze di un anno intero.
Pierre Poupon – vigneron di Mersault, commerciante e scrittore di vino e di Borgogna – ci ha lasciato una testimonianza viva e attuale della sfida che si rinnova ad ogni primavera.
“Il tempo quando domando grazia, la stagione in cui avverto l’impotenza degli uomini di fronte alla Natura, è questo periodo di due, tre settimane durante le quali lo spettro delle gelate di primavera plana sulla vigna come un’ombra di morte. Ogni sera il vignaiolo si addormenta col timore del massacro che l’alba potrebbe portare. Se, verso la fine del giorno, l’aria rinfresca bruscamente, se le nuvole si aprono, egli si inquieta, non riesce a prender sonno, si alza la notte per sbirciare il termometro e alla fine abbandona il letto alle tre del mattino, guarda le stelle, annusa l’aria e gira in tondo in cortile come se volesse, agitandosi nel freddo, riscaldare le sue vigne assieme al suo sangue. Le sue vigne? Le conosce meglio di sé stesso, soffre delle loro fragilità e dei loro languori. Niente da temere per il fazzoletto di poche are aggrappato in alto sulla Côte, esposto a mezzogiorno e coi piedi asciutti sul pendio sassoso. Ma il mezzo ettaro che si arrampica in basso, quasi in piano, in una terra imbibita d’acqua? È quella la vigna che gela e lo tiene sospeso. Che un angolo ne sia scottato, o anche un filare, passi se il resto è risparmiato. Ma il minotauro si accontenterà di questo magro tributo? Cosa esigerà domani? E dopo domani? E se volesse gustare i ceppi migliori, quelli che si credono salvi dalle sue grinfie?”
A differenza della grandine e della pioggia ai tempi della vendemmia, la gelata di primavera non è egualitaria e si accanisce di più sulla vigna popolare, quella che ha i piedi nell’acqua del piano e che dona il vino per la tavola di tutti i giorni e la partita di bocce della domenica al parco. Risparmia invece i grand cru, quelli che la bottiglia ti costa un Perù appollaiati in alto dove la nebbia insidiosa non arriva se non raramente per una sembianza di giustizia. Forse c’è un insegnamento in tutto questo, ma io non l’ho trovato. So solo che da quando mi hanno spiegato cosa succede a primavera in vigna e nella testa dei vignerons di Borgogna, sorseggio con ancora più rispetto il vino nel bicchiere. Alla salute!

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