Pennini d’acciaio

10 Giugno 1917. Sull’Altopiano di Asiago ha inizio la battaglia fra Regio Esercito d’Italia e Imperiale Regio Esercito Austro-Ungarico che si protrarrà fino al 25 dello stesso mese e passerà alla Storia come la “battaglia dell’Ortigara”.
Scendendo da Cima Caldiera, 18 battaglioni alpini, 5 compagnie genio e 15 compagnie mitraglieri italiani hanno il compito di conquistare Monte Ortigara e Cima Portule per fare cadere, con manovra avvolgente, tutta la linea difensiva avversaria. Si tratta di correre giù lungo il ripido pendio del Campanaro, attraversare il Vallone dell’Agnellizza e risalire l’erto fianco orientale dell’Ortigara, impigliandosi nei reticolati sotto il fuoco battente delle decine di mitragliatrici annidate nella roccia e delle bombe a mano lanciate dall’alto.
Sono giorni di assalti, ritirate e brevi tregue che hanno come teatro principale l’angusto vallone battuto dalle artigliere e talvolta saturo dei gas asfissianti austriaci. Gli Alpini riescono a conquistare la cima con azioni audaci; riescono anche a respingere i contrattacchi furiosi degli avversari per qualche giorno, ma infine sono costretti a ritirarsi sotto il fuoco delle artigliere e respinti dai lanciafiamme.
Il 25 giugno, il comando del XX corpo ordina che il grosso delle truppe rientri nelle linee, lasciando sulle posizioni avanzate, come ad esempio al Passo dell’Agnella, i reparti indispensabili per la loro difesa. Reparti che non torneranno mai indietro.
La 52a divisione lascia sul campo 1.564 morti, 8.457 feriti 2.612 dispersi.
Paolo Monelli, ufficiale degli alpini, nel libro “Le scarpe al sole” racconta così cosa significasse attraversare il Vallone dell’Agnellizza.
“E al di là del costone, d’un colpo, ecco la spaventosa scena dantesca, un girone di malebolge fatto realtà. Disseminati sui gradini d’un muraglione di roccia livida arsa lebbrosa, appiccicati al sasso, intramezzati dalle macchie rosse e bianche dei feriti, quel centinaio di uomini della compagnia; immobili, taciturni, nel tormento del bombardamento da cui non hanno riparo, nell’esposizione coatta al rischio che viene da quattro parti, con grandi occhi sbarrati sulla luce implacabile del mezzogiorno. — Ch’el se tiri via da là, sior tenente, che i ghe spara. Ch’el vegna qua da me che se sta sicuri. Un momento di irresolutezza: ed ecco, una pallottola spacca il cuore al bravo ragazzo che mi voleva al sicuro vicino a lui.”
Ma anche nel Vallone dell’Agnellizza il soldato deve fare i conti con la burocrazia che ha priorità diverse da quelle del combattente.
“Oh che cosa porterà di nuovo nella busta gialla il carabiniere che viene nel cuore della battaglia dal comando della Divisione, dopo aver superato il difficile passo del vallone? Forse il cambio (quale scalcinato battaglione raffazzonato può darcelo, che sono tutti passati una o due volte nella tramoggia)? Forse un ordine d’operazione? Più grandi cose: una circolare che lamenta l’eccessivo consumo dei pennini d’acciaio, e un altro foglio della medesima urgenza.
Povero diavolo, rimane male quando il Maggiore glielo dice. Ma lo consoliamo con un bicchiere di vino, perché Tissi, quando ci si mette, le cose le fa per bene, e per essere sicuro che vino e viveri arrivano viene qualche volta anche lui con la corvè a costo di restar castagnato sul sentiero.”

4 pensieri riguardo “Pennini d’acciaio

  1. Eccessivo consumo di un bene prezioso alla causa bellica come i pennini d’acciaio… e Cadorna che con nonchalanche pensa che “per conquistare ‘quella’ cima possiamo permetterci X migliaia di perdite di fanti”, come fossero materiale di consumo… (avevo sentito l’aneddoto, non ne conosco la fonte o maggiori dettagli)

  2. fanti da sprecare, pennini da conservare, la solita storia.
    Come è saldamente dimostrato, da allora non è cambiato nulla. Anzi.
    Se la si scordasse, la Grande Guerra e tutto l’immane macello che doveva essere l’ultimo dell’Umanità, almeno sarebbe forse possibile farsi delle illusioni, aver delle speranze per il futuro.
    Invece, bisogna ricordare nuovamente Schiller: “nemmeno gli Dei possono nulla, contro la stupidità del genere umano”.
    E continuare a lottare (parolona!) perché non sia più così.

    A volte invidio i sassi.
    ciao, Giulio

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