Luserna – Lusérn

Incuneata fra Lavarone e Passo Vezzena e custodita da un folto e scuro bosco, giace Luserna. È disposta su un piccolo declivio gettato sopra la Valdastico di fronte all’altopiano dei Fiorentini e all’aguzzo “dente”, chiamato Spitz Tonezza.
Luserna è “Magnifica” per posizione e per rango; appartiene infatti a quella Comunità degli Altipiani che circa mille anni fa cominciò a reggersi con uno statuto di indipendenza e con propri organi di autogoverno, primo fra tutti l’assemblea generale dei capifamiglia (i capifuoco). La popolazione appartiene in gran parte alla minoranza etnica e linguistica “cimbra”, sparsa tra le provincie di Trento, Vicenza e Verona e rappresenta l’ultima isola dove il “cimbro” viene ancora correntemente parlato dal 90% della popolazione. Il cimbro, antica lingua di ceppo germanico che i coloni portarono con loro dalla Baviera.
In queste settimane mi sto documentando sulle fortificazioni italiane e austro-ungariche che furono erette a cavallo fra diciannovesimo e ventesimo secolo intorno alla Valdastico e dalle quale furono sparati i primi colpi della Grande Guerra. Uno di essi è situato proprio sopra Luserna che fino ad oggi non conoscevo e dunque vado a Luserna, luogo geografico e antropico da cui rimango folgorato.
Quelli appena passati sono stati giorni di forte maltempo e oggi la pioggia ci da tregua prima che sopraggiunga una nuova perturbazione. Parto presto al mattino e fa freddo in modo inconsueto per la stagione; dopo un’ora di moto, all’imbocco della Valle di Terragnolo, sono intirizzito come quando ci si muove a Marzo. Il panorama intorno ha la livrea brillante della vegetazione nuova e il nitore che segue sempre la burrasca. L’acqua sembra uscire da ogni dove, ruscellando fra le rocce e invadendo anche la strada.
A Folgaria mi dirigo a Lavarone e da lì verso Passo Vezzena.
Si arriva a Luserna abbandonando la statale 349 all’altezza dell’Osteria di Monterovere per inoltrarsi nel bosco per qualche chilometro fino all’abitato.
Il paese è minuscolo, ma ricco di attrattive a cominciare dalla posizione veramente spettacolare. Si entra dalla parte della chiesa ed è naturale ricordare quanto scriveva nel 1905 l’arciprete Josef Bacher: “All’entrata vi è la chiesa. Da qui parte una stradina con pavimentazione grezza in direzione nord, fiancheggiata da case su entrambi i lati. Questa parte del villaggio viene chiamata Ek ed i suoi abitanti de Ekar. Un’altra stradina fiancheggia il lato lungo della chiesa verso est, ma gira a sudest subito dietro la chiesa. Anch’essa è pavimentata grossolanamente, con case rade al suo inizio; ma ben presto le case diventano più fitte e formano, oltre alla via principale, varie viuzze laterali. La piazza, da dove queste si diramano, si chiama Pil e l’estremità della via principale a sudest dar Plètz.
Luserna conta un bel museo che illustra la vita tradizionale della popolazione, l’archeometallurgia del rame risalente al XV secolo AC, la Grande Guerra e la fauna degli altipiani. Il museo ospita anche mostre temporanee, centrate quest’anno sugli avvenimenti che portarono alla Prima Guerra Mondiale e sulla partecipazione dei trentini alla sfortunata campagna in Galizia nel 1914. Sono esibizioni curate in modo minuzioso e ricche di informazioni da leggere e da cui farsi toccare. Fra gli altri, un grande manifesto riporta un brano tratto dal diario di un soldato disperso sul fronte orientale: A passi lenti faceva il mio giro osservando il cielo seminato di stelle, fra le quali quelle conosciute nei nostri paesi e diceva, fra me stesso, voi o stelle che vedete il mio paese natio portate un saluto di conforto a mia moglie e ai teneri miei figli da queste terre straniere e ditegli che a quest’ora son qua che vi guardo nel mentre si sente i proiettili che fischia nell’aria.
Nei prati e nei boschi che si diramano a sud del borgo è stato disegnato il Sentiero Cimbro dell’Immaginario che percorre antiche carrareccie e tracce di sentiero che incontrano luoghi legate alle credenze e alle fiabe cimbre.
Lo percorro fino a Malga Campo dove trovo ristoro nell’ottima cucina e nella simpatia dei gestori.
All’uscita. il cielo minaccia pioggia mentre chiudo dietro di me la porta. Nubi gonfie stanno appollaiate sopra il bosco nero che sale verso la piana di Millegrobbe. Mi incammino nel prato verde, segnato da tracce di passi che devono essere vecchie almeno di un giorno. Il sentiero incerto svolta dietro una macchia di abeti sicché anche il profilo rassicurante della casa scompare alla mia vista. Rimane l’ampia radura erbosa interrotta da un folto di faggi in cui la traccia sembra proseguire. Mi inoltro fra gli alberi e la luce scema d’un tratto sebbene, laddove gli alberi sono meno fitti, le foglie si accendono di un bel verde brillante. Ripenso alla fiaba del Salbanello che ho letto nella raccolta del sacerdote Josef Bacher; non mi stupirei se facesse capolino fra i tronchi della foresta.
Un giorno c’era una fitta nebbia e una donna andò a far legna nella zona dei Löchar. Tutti le avevano detto di non andarci, perché c’era la nebbia ed era molto facile perdersi. Ma lei non ascoltò nessuno e partì egualmente. Quando fu nel bosco fece legna e poi se la caricò sulle spalle per tornare a casa. Improvvisamente vide un omino vestito di rosso che le camminava davanti e l’omino le fece segno di seguirlo, mostrando di volerla guidare. La donna lo seguì e seguì, ma invece di condurla verso l’uscita del bosco, egli la portò sempre più nel fitto del bosco, finché la donna non seppe più dove si trovasse. La fece girare così per 24 ore, sempre col carico sulle spalle. Il giorno dopo la gente del paese andò a cercarla e alla fine la trovò presso i Trögla, ancora col carico sulle spalle. Lei raccontò che cosa le era accaduto e la gente concluse: “Se è così, hai seguito i passi del Salbanello!

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